L’elemento chiave dell’analisi è la perdita di nutrienti che avviene durante il passaggio da farina integrale (che significa integra, derivante dalla sola macinatura del chicco, senza alcuna raffinazione) a farina raffinata. Nell’opera The composition of foods gli autori McCance e Widdowson illustrano come la pasta raffinata abbia un basso contenuto di vitamine, sali minerali ed enzimi dal momento che queste sostanze diminuiscono enormemente durante il processo di raffinazione del chicco di frumento. Dopo la raffinazione infatti, rimane il 3% di tiamina (vitamina B1), il 12% di niacina (vitamina B3, chiamata anche vitamina PP o Pellagra-Preventing), il 32% della riboflavina (vitamina B2), il 6% della piridossina (vitamina B6), il 70-75% delle proteine e il 43% di acido pantotenico (vitamina B5). Durante i processi di macinatura e setacciatura viene a dimezzarsi il contenuto di circa venti vitamine e minerali presenti nel chicco di grano originale. Inoltre, un’altra parte delle vitamine rimaste viene persa in seguito con la cottura. Oltre a questi nutrienti, anche il contenuto di fibra diminuisce di due terzi nel passaggio da cereale integrale a raffinato.

Gli amidi non sono zuccheri innocui

Altro aspetto da tenere in grande considerazione quando si parla di cereali raffinati è la loro rapida assimilazione nell’intestino e, di conseguenza, il veloce innalzamento della glicemia. I cereali raffinati, se non accompagnati da alimenti ricchi di fibre e di proteine, aumentano il livello di glucosio (zucchero) nel sangue in un battibaleno, in quanto sono costituiti essenzialmente di amido (circa 70-75 grammi di amido su 100g di prodotto), che viene scomposto in tempi rapidi. Un errore del passato, commesso da nutrizionisti e medici, è quello di aver considerato gli amidi come zuccheri a lento assorbimento e di averli ritenuti per questo innocui verso lo sviluppo di diabete, sovrappeso, malattie infiammatorie dell’intestino e cardiovascolari. Seguendo questo “consiglio nutrizionale”, gli italiani hanno preso a mangiare grandi quantità di cereali, in media 120 chili all’anno a persona. Tuttavia, non è stata affatto una buona idea. In linea teorica è vero che l’amido viene assorbito più lentamente degli zuccheri semplici, nel tratto intestinale. Ma questo principio è vero soltanto se si parla degli amidi del chicco di cereale integrale o delle farine integrali e non quando parliamo di amidi presenti nella farina bianca e nel chicco bianco raffinato.

Nella farina integrale l’assorbimento intestinale è più graduale e meno rapido per la presenza della fibra e della componente grassa presente nel germe del chicco. Nella farina bianca mancano sia la fibra che il germe e l’amido è immediatamente disponibile per un rapido assorbimento intestinale. Per capire quanto rapido sia l’assorbimento degli amidi nell’organismo, basta mettere in bocca un pezzetto di pane e tenerlo in bocca per un minuto. I potenti enzimi salivari sciolgono questi alimenti in pochi istanti e ci fanno percepire un gusto dolce e nel giro di pochi minuti dall’ingestione avviene il completo assorbimento a livello intestinale con la produzione di glucosio.

Fonte: Enciclopedia della Nutrizione di Joseph e Laura Pizzorno
Gli interessi dell’industria alimentare

Ma se i cereali raffinati comportano tanti svantaggi per la nostra salute, rispetto a quelli integrali, perché vengono utilizzati così diffusamente oggi? La risposta, non stupirà, è che in effetti a qualcuno la raffinazione dei cereali ha portato dei vantaggi di tipo economico. Le industrie alimentari hanno puntato sui cibi raffinati perché la farina bianca è più facile da lavorare per preparare cibi di qualsiasi forma, colore e dimensione. È più plastica e pratica da modellare, tant’è vero che provando a fare una sfoglia o un panetto per pizza utilizzando soltanto farine integrali, non riuscirete così facilmente nell’intento. Miscelando con farina bianca tipo 0 o tipo 00 invece, sarà possibile completare l’opera più agevolmente e in tempi più brevi. Inoltre, grano raffinato, zucchero raffinato e latticini trattati con pastorizzazione e omogeneizzazione sono materie prime reperibili a basso costo sul mercato e rivendibili con alti margini di profitto (pensate che il latte di mucca appena munto viene pagato a 0,40 centesimi al litro dai caseifici agli allevatori, poi rivenduto anche a 1,70 euro al litro in alcuni casi). I grossi margini sono dovuti al fatto che i prodotti raffinati possono essere prodotti in grosse quantità per lo stoccaggio di magazzino e la conservazione negli scaffali del supermercato può avvenire anche per lunghi periodi. La raffinazione infatti, li rende quasi completamente sterili da un punto di vista nutritivo, in quanto privati delle sostanze vitali (per esempio il germe nel grano). Il che non sarebbe possibile con cibi non trattati, integri e freschi. Il resto è chiaro: se un alimento dura solo pochi giorni, il guadagno per la sua vendita e commercializzazione sarà ridotto, pari soltanto a quello ricavabile durante il periodo in cui l’alimento rimane fresco. Nessun consumatore acquisterebbe infatti un prodotto che inizia a decomporsi.

I prodotti industriali a base di farine raffinate, che vengono privati di sostanze “vive” soggette a deterioramento, durano a lungo sullo scaffale e al consumatore appariranno sempre “freschi” e integri. Ma è solo apparenza. Tali prodotti apportano un nutrimento vitale ridotto, sono più che altro una fonte di calorie e di amidi a rapido assorbimento. Spesso l’industria aggiunge a posteriori vitamine o minerali come il calcio ai prodotti raffinati, proprio per cercare di restituire almeno in parte le proprietà nutrizionali originali dell’alimento. Questi cibi vengono detti “addizionati” o “fortificati”, ma non hanno le proprietà nutrizionali del prodotto originale, bensì costituiscono solo una brutta copia. Ciò che viene perso dapprima con la raffinazione, viene in parte reintrodotto a fine processo di produzione per non dare al consumatore un alimento completamente privo di ogni nutriente basilare.

Al corpo servono minerali e vitamine

L’industria alimentare ha puntato sulle farine raffinate anche per una questione estetica: il colore bianco del pane e dei cereali raffinati è più attraente per il consumatore, rispetto al colore scuro di quelli integrali ricchi di fibre. Ma sono proprio le fibre del cereale integrale, assieme ai minerali e alle vitamine, le sostanze che il corpo richiede di continuo e di cui ha bisogno per funzionare al meglio. Se questi nutrienti non arrivano all’organismo, esso cerca di continuo altro cibo, nella speranza che con del nuovo cibo arrivino anche le vitamine e i minerali, per trovare nella quantità ciò che non trova nella qualità. In questo modo, si innesca quel meccanismo di ricerca continua di cibo (con un meccanismo di sazietà che non funziona più come dovrebbe), che porta le persone ad alimentarsi più spesso del dovuto e quindi predispone al sovrappeso e all’obesità. Stitichezza, gonfiore addominale, cistite e candida sono solo alcune delle patologie molto frequenti nella società moderna (specie nel mondo femminile), dovute ad un consumo eccessivo e quotidiano di prodotti a base di farina raffinata come biscotti, dolci, pane, pizza e fette biscottate e gallette. Un’analisi obiettiva del proprio stile alimentare e una correzione adeguata potrebbe portare all’eliminazione di tutti questi fastidiosi disturbi.

 

I disastri della farina bianca nella Storia

La pratica di raffinare la farina è stata una delle più grandi piaghe del diciannovesimo e poi del ventesimo secolo, dal punto di vista delle disastrose conseguenze sulla salute dei consumatori. Una volta la molitura del frumento consisteva nel passaggio tra due grosse pietre che rimuovevano solo il guscio fibroso più esterno e trituravano tutto il resto, ottenendo una farina integrale (comprensiva di crusca e germe). Al limite, si setacciava questa farina togliendo i pezzetti di crusca più grossi, ma tutti i nutrienti presenti al loro interno rimanevano. Poi, intorno al 1870, furono inventati i rulli molitori moderni di acciaio e porcellana, che nel giro di qualche decennio divennero lo standard della macinatura delle farine. Tuttavia per qualche tempo il pane bianco rimase un bene costoso e destinato al consumo di nobili e ricchi, mentre il popolo non poteva permetterselo e continuava a mangiare il pane nero fatto con la farina integrale. Nel primo dopoguerra, e in misura maggiore e definitiva nel secondo dopoguerra, si passò quasi completamente alla macinatura con i rulli moderni in acciaio, abbandonando la macinatura a pietra. Questi rulli moderni, operano lo scempio da un punto di vista nutrizionale, in quanto rimuovono da subito sia la crusca che il germe, lasciando solo l’endosperma, ovvero la parte del chicco composta quasi interamente da amido e da una piccola percentuale di proteine. La farina bianca che ne derivò piacque subito sia ai consumatori che all’industria, in quanto molto più versatile di quella integrale.

Nel giro di pochi anni però, cominciarono a dilagare fra la popolazione carenze nutrizionali di vitamine del gruppo B, di ferro, problemi di costipazione, problemi digestivi di ogni tipo ed iniziò a diventare evidente l’aumento di incidenza di malattie cardiovascolari, diabete e alcuni tumori. Nelle colonie degli Stati europei, queste carenze e questo tipo di malattie comparvero puntualmente, solo dopo l’arrivo di zucchero e farina bianca. Durante la prima guerra mondiale in Danimarca, il governo fu costretto a proibire la raffinazione dei cereali a causa della grave scarsità di grano. Non ci si poteva più permettere di buttare via la crusca. Quindi, per ragioni economiche, la popolazione fu costretta a tornare al consumo di farina integrale. Sorprendentemente, le condizioni nutrizionali della popolazione furono talmente migliorate da questo provvedimento, che durante la prima guerra mondiale il tasso di mortalità in Danimarca diminuì del 34% nonostante i caduti in battaglia. Questo perché si abbassò in maniera evidente il tasso di decessi per malattie cardiovascolari, diabete e tumori. Lo stesso fenomeno si osservò anche in Gran Bretagna durante la Seconda Guerra Mondiale e la questione divenne talmente evidente alle autorità sanitarie, che nel 1942 il Congresso degli Stati Uniti, per tentare di rimediare al problema, emanò lo US Enrichment Act, imponendo per legge che tutte le farine dopo la raffinazione fossero arricchite perlomeno con ferro, vitamina B1, B2 e B3. Nel 1996 fu aggiunto alla lista anche l’acido folico (vitamina B9). Come se non bastasse, queste sono solo una parte delle vitamine, minerali e antiossidanti che vengono persi con la raffinazione della farina. Inoltre, mancherebbero la vitamina E ed il betacarotene, i grassi insaturi contenuti nel germe, la fibra della crusca e tutte le altre vitamine del gruppo B. Già negli anni ‘50, la nota nutrizionista americana Adelle Davis fece notare, con una memorabile battuta, che queste farine «sono arricchite come lo sareste voi se vi restituissi 99 centesimi dopo avervi rubato 25 dollari». Un po’ come avviene oggi nella finto-integrale, dove alla farina bianca raffinata viene aggiunta una manciata di crusca, per poi definirla integrale.

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